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“Maida luogo è assai bello: siede non lungi dalla marina del Tirreno ed è ventilata da aria dolce e ombra le fanno da un lato gli uliveti e dal lato di mare la terra si ingiardina di odoriferi aranci, ma più bella è per leggiadrissimi giovani e per donne bellissime di piacevoli compagnie, molto desiderose di feste”.
Così scriveva di Maida il filosofo catanzarese Francesco Acri (1834-1913) e così si potrebbe leggere sulla targa affissa sulla facciata del palazzo della famiglia Brescia che nel Cinquecento ospitò il “rimatore” Giovanni Alfonso Mantegna.
Nel corso di un secolo la realtà è cambiata, anche dal punto di vista antropologico: accanto alla bella gioventù del luogo si può ammirare la gioventù proveniente dai paesi dell’est, Romania e Bulgaria in prevalenza, ma anche dal Marocco e dall’Ucraina, per un totale di 305 unità che forniscono all’Istituto comprensivo 36 alunni ed un numero di famiglie con intestatario straniero pari a 141. Il centro del paese, spopolato dai concittadini che hanno costruito nuove case nella parte bassa, si è rianimato con i giochi dei bambini che parlano l’italiano scolastico, il dialetto maidese dei compagni e la lingua straniera dei genitori.
Gli “odoriferi aranci” tanto bisognosi di essere innaffiati, hanno ceduto spazio all’oliveto che necessita di minore mano d’opera essendosi portata via, l’emigrazione, la parte più numerosa della gioventù.
Sulla storia di Maida, sulle sue chiese, sul folklore, sulla lingua, sui personaggi, sulla politica si sono esercitati a scrivere, nel corso dell’ultimo secolo, numerosi autori per non parlare delle composizioni poetiche dei romanzi. Eredità di una nobile tradizione, essendo stata Maida patria di arti, lettere, cenobi religiosi, ideali illuministici, circoli letterari ed accademie.
Tra le composizioni, anche una moderna guida che a breve avrà una traduzione in inglese con testo a fronte. Lavoro particolarmente utile in una realtà dai confini geografici sempre più ampi per la presenza, sempre più numerosa, di cittadini europei annualmente ospiti nelle strutture ricettive che offrono qualità alimentare, bellezza ambientale, cultura, tradizioni e storia.
Maida, con la sua storia millenaria, fa parte di quella Calabria nobilissima e dimenticata che gli emigrati sognano di ritrovare e gli ospiti ammirano piacevolmente sorpresi.
Non c’è più il borgo di pietra per come sostanzialmente intatto ci era pervenuto a metà Novecento; il cemento ha fatto il suo corso anche per le nuove esigenze di vivibilità. Però chi tra i lettori vorrà seguirci, avrà la possibilità di incuriosirsi e poi di verificare che una parte consistente del patrimonio artistico ed architettonico è ancora apprezzabile.
È facile raggiungere Maida in aereo, per ferrovia o per autostrada, perché dista 15 km dalle stazioni e dall’uscita di Lamezia Terme. A guardare la cittadina dal basso o dall’alto colpisce la forma piramidale che ha nel Castello il vertice ed il rione Campo alla base.
Conta circa 3.500 abitanti che si assommano ai 1000 della frazione Vena, è lambita dai fiumi Cottola, Pesipe ed Amato, è sovrastata dalla montagna Contessa e bagnata a breve distanza dal mar Tirreno e dallo Jonio essendo Maida a cavallo tra i due mari. I 58 chilometri quadrati di superficie, in gran parte pianeggianti, le consentono lo sviluppo che in parte si sta realizzando con la zona industriale e con quella commerciale dei “Due Mari”.
Prima ancora di entrare in paese, per chi ama il verde, Maida colpisce per il folto mantello di ulivi che tradisce la grande produzione di olio e la primaria attività dell’agricoltura e poi la maestosità delle piante stesse, alcune millenarie, che sporgono sulla strada provinciale a dare il loro sempreverde saluto. Chi poi preferisce ammirare i beni architettonici non resterà deluso visitando a nord est dell’abitato il convento di san Francesco di Paola e la chiesetta di Gesù e Maria ed a sud, sulla strada per la montagna, la chiesa di santa Maria delle Grazie ed il convento dei padri cappuccini con l’annesso chiostro e l’adiacente cimitero.
Il convento di san Francesco è la struttura che più sta a cuore ai maidesi: la costruzione del convento fu affidata a padre Francesco Majorana uno dei primi seguaci di Francesco. La data più probabile è quella del 1469. Dalla deposizione di Antonello Triza, registrata nel processo calabro, risulta che il santo si portò a visitare il nuovo convento e guarì prodigiosamente la madre da un tumore alla gola e la presenza dei frati nel convento di Maida rimase operosa e caritatevole fino al distruttivo terremoto del 1783.
Numerosi maidesi, per ultimi p. Francesco Gatto e p. Antonio Marasco, hanno indossato l’abito di Francesco e si sono distinti per la loro santa vita. Tra i padri minimi di Maida alcuni furono eletti provinciali dell’ordine e padre Francesco Cereo anche vescovo.
Oggi, lungo il tragitto per il convento, diverse nuove icone illustrano i miracoli di Francesco. Arrivati nello spiazzo, è facile notare che alla distruzione del terremoto non è stato posto rimedio e che di agibile, oltre al porticato, rimane solo la chiesetta. Quasi sempre chiusa, si riempie di fedeli per la cerimonia religiosa in occasione del 2 aprile cui fa seguito “a ciciarata”, la distribuzione ai fedeli della minestra di pasta e ceci, rito che si ripete da due secoli a testimonianza della fede e della memoria della carità francescana. Al convento si ritrovano i maidesi ovunque emigrati nella solennità della cerimonia religiosa, nella suggestione dei luoghi e per suggellare il legame della tradizione e degli affetti.
Per visitare il centro storico è consigliabile percorrere la via costiera ed entrare in paese dall’arco di sant’Antonio, antica porta d’accesso che si collegava con gli altri archi alla sua destra per addurre in paese le acque del fiume Pilla. Percorrendo la strada principale, sulla sinistra ci si imbatte in una testimonianza antichissima di fede e di preghiera monacale, quella delle laure, una gotta naturale dove i monaci basiliani si ritiravano in preghiera. Quella rimasta è l’unica di una contrada un tempo chiamata delle laure perché altre ne conteneva. La struttura di tre “vani” era utilizzata per cucinare, la parte più esterna, per pregare e per dormire, la parte più interna.
Dopo una breve salita si perviene ai resti del castello normanno, costruzione che si suole datare intorno alla seconda metà dell’undicesimo secolo ed attribuire a Roberto il Guiscardo. Fu sede di soggiorno di Federico II di Svevia, modificato e restaurato da angioini ed aragonesi. A questi ultimi risale il coronamento dei beccatelli, le bocche da fuoco e le caditoie dalle quali far cadere pesi o liquidi a piombo sugli assaltanti. Nel corso dei secoli il castello fu sede del potere politico ed amministrativo di molte famiglie di feudatari. Nel Seicento il Feudo appartenne ai principi Loffredo per passare a fine secolo ai Ruffo di Bagnara, ultimi feudatari con la duchessa Ippolita, educata nel convento di santa Veneranda, numerose volte a Maida ospite di don Vincenzo Farao, agente generale dei suoi interessi nel Feudo.
Sullo spiazzo dell’area del castello sorge la chiesa di san Nicola de’ Latinis: venne elevata a parrocchia nel quindicesimo secolo, distrutta dal terremoto del 1638 e ricostruita dal feudatario Loffredo per come ricorda la lapide sul portone d’ingresso. Ha una navata unica recentemente riportata alla struttura originaria e conserva sull’altare un quadro raffigurante san Nicola benedicente fra due personaggi inginocchiati ai suoi piedi.
Percorrendo la discesa si perviene alla chiesa madre di Maida: santa Maria cattolica fondata dai padri basiliani intorno al Mille. La piazza antistante, col titolo di protopapale, ricorda che la chiesa fu sede del protopapa, titolo greco ortodosso del prete preposto ad una comunità religiosa, rimasto fino ai giorni nostri come arciprete. La chiesa, a tre navate con transetto e presbiterio, fu molto danneggiata dal terremoto del 1783 ma i fedeli rifiutarono il trasferimento ad altra chiesa e la ricostruirono. Il campanile, caduto a seguito del terremoto del 1908, fu invece collocato sulla facciata che sorge su di un terrazzo di pietre di fiume sotto il quale si trova la chiesa di san Sebastiano dal bel portale romanico. Uno dei pochi esempi in Italia di due diverse chiese sovrapposte. All’interno di santa Maria si possono ammirare i dipinti di Casuscelli sull’imbotto delle navate laterali, il Cristo re di Zimatore e Grillo nel catino absidale ed i quattro evangelisti nei pennacchi della cupola.
Altri pregevoli dipinti sono il quadro dell’Assunta, la tela della Beata vergine della Grazia, della B.V. Maria e di san Francesco di Paola e le statue di san Francesco, patrono della città e di san Foca. Nelle due navate i confessionali barocchi di legno intagliato di scuola serrese. Nelle pareti iniziali delle navate laterali si trovano due grandi affreschi di Andrea Cefali di Cortale: quello di Gesù tra i dottori del tempio e l’altro titolato “Lasciate che i ragazzi vengano a me.”
Altre tele si possono ammirare nella sagrestia mentre restano conservati numerosi pezzi di argenteria e preziosi paramenti, corali, documenti, un antifonario ed i registri parrocchiali che riguardano anche la parrocchia di san Nicola e san Domenico essendo stata unificata con santa Maria cattolica.
Da santa Maria, percorrendo la strada alle spalle della sagrestia, si giunge alla chiesa di san Domenico o del Rosario lungo il corso Garibaldi. Fu fondata agli inizi del Seicento con annesso chiostro e convento domenicano. Dopo il terremoto che la danneggiò gravemente, il convento fu soppresso e la parrocchia unificata con quella di san Nicola de Latinis. La facciata, ai lati del portale, presenta due affreschi: quello di santa Rosa da Lima sormontato dalla loggetta campanaria e quello di san Domenico. L’affresco laterale, esposto a ponente, raffigura santa Caterina. L’interno, ad aula unica, recentemente restaurata presenta un catino absidale decorato sotto il quale si può ammirare la tela della Madonna del Rosario di Francesco Colelli commissionata dalla famiglia Brunini. Nell’abside, sui due lati si stende il coro ligneo intagliato e decorato in stile liberty; sul seggio del padre spirituale è raffigurato lo stemma domenicano.
Sul lato sinistro della chiesa si può ammirare l’urna funebre di Antonio Brunini e l’altare contenente il Cristo morto sormontato dalla statua del Crocefisso; sul lato destro l’armadio contenente la statua della B.V. del Rosario e la nicchia della B.V. del Carmine.
Scendendo verso piazza Garibaldi, e seguendo il corso recentemente lastricato in pietra, si giunge alla villetta dedicata ai caduti della prima e seconda guerra mondiale e successivamente al grosso fabbricato costruito della famiglia Farao.
Palazzo Farao

Sorge lungo il corso Garibaldi e si affaccia sul lato ovest della piazza omonima. La costruzione fu avviata probabilmente alla fine del XVIII secolo da Vincenzo Farao, dopo che il terremoto del 1783 aveva parzialmente distrutto il precedente palazzo di famiglia (attuale palazzo Pinto, che si suppone, attraverso l’esame dei fregi architettonici tuttora esistenti, dovesse constare di un ulteriore piano, terzo fuori terra); la costruzione fu poi proseguita dal figlio Gregorio, ed ultimata nel 1828 dal nipote Giuseppe Farao, che allo scopo di realizzare una dimora più ampia ed imponente acquistò dal Comune di Maida l’area ove si trovava il vecchio sedile comunale, luogo deputato alle pubbliche assemblee dell’antico Stato di Maida, cedutagli con rogito del 10.2.1825.
Copre in parte (ala ovest) l’area anticamente occupata dal seggio comunale ed in parte una precedente costruzione, di cui non si hanno ulteriori notizie, le cui strutture portanti, che si intravedono negli scantinati, sono state ingrandite e rafforzate mediante l’affiancamento di nuova muratura atta a sorreggere la sopraelevazione.
Consta per quasi tutta la sua estensione di due piani fuori terra, oltre ad un terzo piano fuori terra che costituiva probabilmente una foresteria, ed al piano seminterrato.
Al suo interno riveste particolare pregio il salone, caratterizzato da pareti interamente decorate con motivi floreali e motivi geometrici, e dal soffitto sul quale si trovano dipinte scene mitologiche e vari medaglioni con i ritratti di personaggi famosi nelle arti, scienze, e cultura.
Vi soggiornò durante la spedizione dei Mille del 1860 Giuseppe Garibaldi, che dal balcone che si affaccia sulla piazza il 29 agosto arringò il popolo, come ricordato dalla lapide posta sulla parete ovest del fabbricato.
Chiesa di Santa Maria delle Grazie e di San Giuseppe

Eretta nel 1635 da Pietro Antonio Farao, da poco stabilitosi in Maida, fu fin dall’origine destinata a cappella patronale e adibita a luogo di sepoltura dei defunti appartenenti alla famiglia. La chiesa, ancora in costruzione in occasione del terremoto del 1638, venne consacrata nel settembre del 1640.
Sulla facciata della chiesa si trova ancora lo stemma di famiglia, che riproduce un faro a foggia di torre merlata sormontata da un fuoco.
Occupa in parte una precedente costruzione molto più antica, probabilmente bizantina.
Resistette al terremoto del 1783.

Il monumento alla Battaglia di Maida
Scese le scale che da piazza Garibaldi portano all’incrocio con la strada provinciale, dalla piazza 4 luglio si può godere la magnifica vista della piana di Sant’Eufemia, breve istmo che congiunge i due mari, Jonio e Tirreno. Sulla piazza si può ammirare il monumento dedicato alla Battaglia di Maida del 1806 avvenimento che, combattuto a pochi chilometri dall’abitato, assicurò agli inglesi del generale Stuart una schiacciante vittoria contro l’esercito napoleonico. E fu la prima nel corso del decennio e fu sulla terraferma dove l’esercito napoleonico risultava imbattibile.

Leopardi Greto Ciriaco