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“La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziali italiano” presentato il 7 novembre al CNEL evidenzia pesanti disequilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali

Il welfare e le politiche economiche, così come la struttura del sistema pensionistico presentano condizioni di partenza differenti nelle macroaree del Paese, tale per cui interventi di riforma e provvedimenti dovrebbero prioritariamente colmare il gap tra regioni. Le regioni italiane non hanno tutte la stessa autosufficienza dal punto di vista della capacità contributiva, sia fiscale sia previdenziale.

Lo afferma il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali: si avrebbe un equilibrio tra entrate e uscite se tutte le Regioni raggiungessero un valore pari al 75% e ripianassero cioè con entrate contributive almeno 3/4 delle uscite per prestazioni. Il Centro Studi ha aperto il confronto sul settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziali italiano” presentato il 7 novembre al CNEL, ed evidenzia in realtà pesanti disequilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali.

I dati numerici forniti dallo studio restituiscono il quadro di quanto i contributi versati riescano a coprire il costo delle prestazioni erogate.

LA REGIONALIZZAZIONE DEL BILANCIO PREVIDENZIALE PER IL 2021

Nel 2021 il bilancio pensionistico/previdenziale del Paese – inteso come differenziale delle entrate e uscite delle gestioni INPS privati, INPS ex INPDAP per i dipendenti pubblici e delle Casse di Previdenza dei liberi professionisti – ha mostrato un disavanzo di 48,68 miliardi, in miglioramento rispetto ai 55,034 del 2014, anno di riferimento della precedente Regionalizzazione.

Nel dettaglio, le entrate totali sono ammontate a 200,3 miliardi, con un miglioramento del 12,23%, mentre le uscite sono state pari a 248,99 miliardi, in crescita del 6,6% rispetto al 2014. Guardando alla ripartizione per macroarea, si evidenzia la netta prevalenza del Nord, che vale oltre il 58% delle entrate e il 53% delle uscite; il Sud contribuisce per il 21% circa ma spende oltre il 26%, mentre il Centro presenta entrate contributive e uscite per prestazioni simili, intorno al 21%.

UNA MISURA DEL GAP TRA REGIONI: I TASSI DI COPERTURA AL 2021

Nel 2021, a livello nazionale, il tasso di copertura risulta pari all’80,45%, in miglioramento rispetto alla rilevazione precedente (76,43%). Se la soglia del 75% è complessivamente superata, persistono però anche in questo caso gravi squilibri a livello territoriale. In particolare, tutte le regioni del Sud segnano livelli in crescita piuttosto bassi: la media è del 62,25%, con la Calabria che raggiunge un modesto 49,98%; poco meglio ma comunque sotto la media del Mezzogiorno anche Sicilia, Molise, Puglia e Basilicata (circa 60%).

Fa segnare un 81,53% il Centro, mentre il Nord tocca quota 88,96%, con buone performance soprattutto per Trentino (unica Regione pienamente autosufficiente con il 103,1%), Lombardia (99,66%), Veneto (95,51%) Lazio (90%) ed Emilia-Romagna (87,39%).

Piemonte e Liguria sono le uniche due regioni settentrionali posizionate, rispettivamente con il 72,92% e il 64,83%, al di sotto della soglia del 75%. In effetti, l’andamento dei tassi di copertura nel tempo lascia supporre come Nord e Centro possano aver risentito più del Sud delle modifiche strutturali della popolazione e, nello specifico, del suo progressivo invecchiamento. Tanto più che, nell’ultimo decennio, l’area settentrionale è stata più interessata rispetto alle altre dall’uscita dal lavoro dei cosiddetti baby boomer, lavoratori che nel periodo di maggiore sviluppo economico hanno avuto modo di realizzare carriere contributive lunghe e continue, spesso caratterizzate da retribuzioni sopra la media, che hanno dato a propria volta luogo a trattamenti previdenziali anch’essi al di sopra della media per importo e durata, e in parecchi casi erogate già a partire da età anagrafiche relativamente basse (durate di prestazioni coerenti sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20-25 anni).

Nello stesso tempo, va considerato in molte aree del Nord un impatto occupazionale negativo imputabile alla crisi industriale che ha colpito in modo piuttosto marcato soprattutto diverse zone del Piemonte e della Liguria, per quanto contraccolpi si siano fatti sentire anche lungo l’asse industriale che attraversa la Lombardia con la chiusura di marchi storici nell’elettromeccanica, nell’avionica e nei settori tessili e delle macchine utensili.

LE PROPOSTE DEL CENTRO STUDI PER IL FUTURO

Posta appunto quella del 75% come soglia-obiettivo, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali individua quindi nell’efficientamento di infrastrutture e politiche attive per il lavoro i primi pilastri di una serie di interventi mirati, nell’arco di un decennio, a consentire a tutte le Regioni del Paese di raggiungere una maggiore autosufficienza dal punto di vista della capacità contributiva sia fiscale sia previdenziale. Con il restante 25% affidato invece a un fondo di solidarietà nazionale.

“LE POLITICHE ASSISTENZIALI HANNO ULTERIORMENTE RALLENTATO LA CRESCITA DEL SUD”

Il Prof. Alberto Brambilla Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali sottolinea che «i risultati di bilancio fin qui evidenziati impongono infatti a politica e parti sociali di prendere coscienza di una situazione ormai troppo duratura per non essere analizzata con chiarezza, e senza alcun intento persecutorio o ideologico, al solo scopo di cercare risposte e soluzioni a un problema evidente, quello del gap tra Nord e Sud, evitando il ripetersi di errori del passato». Come, ad esempio, la decontribuzione al Sud, artefice di un’occupazione di sussistenza, di fatto dissolta, o trasformatasi in ampie sacche di lavoro sommerso, una volta vietati gli sgravi contributivi.

L’insufficiente sviluppo di alcune aree del Paese, e in particolare delle regioni meridionali, è stato infatti a lungo compensato da politiche assistenziali che, come ben dimostrano anche i trend di lungo periodo (di ben 42 lo storico preso in considerazione dal documento), hanno però sortito solo l’effetto, opposto, di rallentarne ulteriormente la crescita. Tanto che gli sgravi contributi totali in vigore dagli anni Settanta sono stati considerati aiuto di Stato dalla Commissione Europea e, anche per questa ragione, progressivamente eliminati senza peraltro aver nel frattempo prodotto vantaggi competitivi. Ancora oggi, tuttavia, misure volte più a sussidiare che a dare sviluppo tendono a pesare sul nostro debito pubblico, favorendo peraltro, quella commistione tra previdenza e assistenza che penalizza il nostro Paese nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea.

Fonte quiidiritti.it